Dopo Honduras, Venezuela, Messico, Argentina, Perù e Bolivia anche il Cile si aggiunge ai paesi che stanno finalmente cercando di scrollarsi di dosso il tallone dell’imperialismo statunitense che continua a considerare il Centro e il Sud America il cortile di casa, su cui applicare senza scrupoli la dottrina Monroe come se non fossero passati quasi 200 anni dalla sua enunciazione.
La vittoria di Gabriel Boric, socialdemocratico e candidato unitario della sinistra cilena, al ballottaggio per l’elezione del Presidente della Repubblica, potrebbe essere un passaggio storico per una nazione che non è mai riuscita a chiudere i conti con la violenza della dittatura di Pinochet, basti pensare che lo sfidante Kast non ha mai smentito le sue simpatie per il generale che fu protagonista di una delle pagine più buie e dolorose di tutta la storia del Sud America.
Con la chiusura dell’era di Pinera, fortemente sostenuto dalle varie amministrazioni statunitensi, che ha governato con il pugno di ferro reprimendo le proteste degli ultimi anni con una violenza che ricordava molto i metodi di Pinochet e che ha causato morti, feriti e desaparecidos, il Cile spera di poter finalmente chiudere i conti con una storia che sembra sempre difficile superare in maniera definitiva.
Ma soprattutto ci si augura che questo sia un tassello che dia ulteriore forza alla crescita del progetto della Patria Grande, già sognata da Bolivar e poi riproposta da Hugo Chavez e da altri leader del Socialismo sud americano, per poter finalmente dare un futuro diverso soprattutto ai popoli nativi che sono quelli che più pagano i danni dell’imperialismo statunitense.
Imperialismo al quale si è aggiunta, negli ultimi anni, la pesante ingerenza dell’Unione Europea sempre più connivente con la politica estera statunitense: oltre a voler mettere bocca sulle elezioni di ogni singolo Stato ogni qualvolta un candidato della destra filo-Usa rimedia una brutta figura, il Parlamento Europeo, senza nessuna vergogna, la settimana scorsa ha persino votato una mozione “contro la violazione dei diritti umani a Cuba”, dove non risulta che ogni anno la violenza dei paramilitari faccia migliaia di vittime come in Colombia. Ma la Colombia è uno stato amico, e agli amici queste cose le si permette senza battere ciglio.
É chiaro che quello che sta succedendo in questi ultimi mesi in America Latina, anche in vista delle prossime presidenziali in Brasile dove Lula è dato vincente al primo turno, è un’ulteriore dimostrazione della sempre più crescente perdita dell’egemonia politica statunitense a livello globale. Dal nostro canto non possiamo che augurarci che una nuova ondata rivoluzionaria e una nuova visione del mondo possa, dall’America Latina, travolgere tutto il marciume che anni di sfrenato capitalismo hanno sparso in tutto il pianeta.
Liberu – Lìberos Rispetados Uguales