Il Referendum costituzionale del 4 dicembre è un appuntamento molto importante per la Sardegna. Dobbiamo difendere e conquistare competenze, non cedere quelle che abbiamo.

La Riforma, tra i tanti aspetti che intende modificare, nega alla Sardegna diversi diritti in termini di democrazia e si appresta a smantellare ogni forma di autonomia e autogoverno dell’isola.

Intanto segnaliamo che viene drasticamente limitata la sua rappresentatività al Senato, con l’introduzione di un meccanismo elettorale che nega il suffragio universale diretto (voto diretto dei cittadini) e introduce l’elezione dei senatori tramite il Consiglio Regionale, “con metodo proporzionale” e “in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri” nelle precedenti elezioni regionali.
Ad eleggere i senatori non sarebbero più dunque i cittadini ma i consiglieri regionali tramite accordi di palazzo e spartizioni all’italiana.
Inoltre il numero dei senatori espressi dalla Sardegna passerebbe dagli attuali otto a solo 3, annientando praticamente il peso della Sardegna. Ma c’è, inoltre, anche un clamoroso scompenso tra il peso del nostro Statuto autonomo e il peso di altre regioni e province autonome.
Infatti la Sardegna, con un milione e seicentocinquantamila abitanti avrebbe 3 senatori, mentre ne avrebbero 2 sia la Valle d’Aosta (con appena 127 mila abitanti), sia la provincia autonoma di Trento (538 223 ab.) e sia la provincia autonoma di Bolzano (521 925 ab.). Gli abitanti di queste regioni e province autonome non raggiungono gli abitanti della Sardegna, ma avrebbero complessivamente il doppio dei suoi seggi in Senato.
La parte peggiore di questa riforma per noi Sardi arriva però con ciò che concerne le modifiche al Titolo V della Costituzione, che regola i rapporti tra Stato italiano ed enti locali.
Intanto sfatiamo subito la leggenda metropolitana secondo cui questa riforma non intacca le Regioni a Statuto speciale: non le intacca nell’immediato, ma introduce la norma che ne permetterà di regolamentarne l’abbattimento.

Infatti l’articolo 39 al comma 13 dice chiaramente:
“ Le disposizioni di cui al capo IV della presente legge costituzionale non si applicano alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano FINO ALLA REVISIONE DEI RISPETTIVI STATUTI SULLA BASE DI INTESE CON LE MEDESIME REGIONI e Province autonome” (Maiuscolo nostro)
Ma chi dice che i Sardi abbiano la volontà di “rivedere” il proprio Statuto d’intesa con lo Stato? E chi dovrebbero essere i rappresentanti regionali che si dovrebbero sedere a trattare con lo Stato? Gli stessi che da sempre sono pronti a svendere ogni nostra autonomia ai diktat dei partiti italiani di cui sono espressione? E’ facile capire che questa riforma, se dovesse passare, segnerebbe il presupposto di uno smantellamento della nostra autonomia.
Inoltre, nel piano di attacco alle autonomie, all’art. 116 viene richiesta la condizione che le Regioni autonome siano in una “condizione di equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio”. In pratica il malgoverno indotto dai partiti italiani al governo della Sardegna verrebbe pagato con la perdita dell’autonomia regionale. Una politica parassitaria che ha saputo creare solo clientele e pozzi senza fondo come la nostra sanità pubblica, che è stata incapace di creare un’economia produttiva autonoma e autosufficiente, verrebbe accusata di non far quadrare il bilancio e per fingere di punire il suo malgoverno verrebbe punito l’intero popolo sardo a cui verrebbe tolta l’autonomia regionale.

All’art. 117 viene introdotta la “clausola di supremazia”, cioè una precedenza della legge dello Stato “quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale”. In pratica ogni qualvolta ci sia un interesse dell’Italia la Sardegna dovrebbe accettare in silenzio per salvaguardare “l’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero dell’interesse nazionale”. In termini spiccioli significa che se domani volessero portare le scorie nucleari o qualsiasi altro carico di veleni noi non ci potremmo in alcun modo opporre perché ai nostri diritti viene anteposto “l’interesse nazionale”.
Stesso discorso vale in materia di inceneritori, discariche, pale eoliche, termodinamico, centrali a biomasse ecc.
Sempre nell’art. 117 scompaiono le materie a legislazione concorrente tra Stato e regioni. Questo significa che materie come ad esempio le disposizioni su attività culturali e turismo, porti e aeroporti civili, infrastrutture strategiche e di navigazione, regolamentazione in materia di installazioni per la produzione energetica, ma anche acque minerali e termali, agricoltura e foreste ecc. passerebbero a totale pertinenza dello Stato italiano.
Diremmo quindi addio a qualsiasi pretesa di valorizzazione della lingua sarda, a qualsiasi tentativo di recuperare e commemorare la nostra storia, a qualsiasi sogno di riorganizzare una scuola sarda rispettosa delle nostre peculiarità e dei nostri bisogni, a qualsiasi anche lontana pretesa di mettere il becco sulla questione dei trasporti sia navali che aerei, sulla gestione delle nostre acque minerali e termali, sulla regolamentazione autonoma dell’urbanistica, così come non avremmo più nessuna possibilità di valutare se accettare o meno l’installazione di fonti energetiche inquinanti o deturpanti (o semplicemente sconvenienti) sul nostro territorio.

Ci ritroveremmo dunque in balia delle decisioni di Roma su ogni aspetto della nostra vita politica e amministrativa, sperando che il blocco degli interessi che si ammucchiano nelle stanze romane si ricordino di lasciar cadere qualche misera briciolina anche da noi. La nostra terra diventerebbe un grande campo in cui tutti gli interessi dell’Italia, dai più chiari ai più oscuri, avrebbero carta bianca con un timbro di Roma a garanzia. E noi Sardi costretti a obbedire e stare zitti.
Questo rappresenta l’esatto opposto di quanto noi di LIBE.R.U. auspichiamo nel nostro programma, ovvero un progressivo superamento della condizione di autonomia regionale verso la conquista dell’indipendenza nazionale, tramite una continua acquisizione di competenze via via più importanti, portando avanti uno scontro sempre più deciso contro lo Stato italiano e lottando per conquistare e non cedere nessuna competenza.
Non c’è che un modo per opporsi a questo scenario prospettato dalla Riforma costituzionale Renzi-Boschi: andare in massa a votare NO e cercare di impedire di farci scippare un’autonomia che va migliorata, rafforzata, estesa, applicata costruendo progressivi percorsi di cessazione della dipendenza.
Andare a votare SI equivale a sostenere l’occupazione italiana del nostro Paese, aiutare l’occupante a privarci di ogni parola, di ogni diritto, di ogni speranza di poter risollevare le sorti della nostra terra, ogni diritto di far uscire la Sardegna dalla condizione di colonia italiana.

Astenersi dal voto significa affidare agli interessi italiani la decisione della spartizione e dell’abolizione o meno della nostra autonomia. Credere di poter contrastare la dominazione italiana con l’astensionismo, credere che non andare a votare riveli il vero rifiuto dell’Italia, equivale a permettere, paradossalmente, che sulla nostra perdita o mantenimento dell’autonomia debbano decidere gli Italiani e non i Sardi.

E’ bene specificare che questo referendum NON ha un quorum da raggiungere: verrà applicata la volontà della maggioranza degli elettori.
Se la maggioranza degli elettori voterà NO LA Riforma Renzi-Boschi non passerà.
Perciò LIBE.R.U. invita tutto il popolo sardo ad andare in massa a votare NO al Referendum costituzionale e fermare questa riforma antidemocratica e nemica del diritto all’autogoverno del popolo sardo.

Liberos Rispetados Uguales – LIBE.R.U.