L’epidemia di Covid-19, col suo carico di morte e di paura, ha aperto mille contraddizioni nella fortezza Occidente, rivelando ancora una volta la debolezza intrinseca del capitalismo.
Fin quando si tratta di competitività, di corsa sfrenata allo sviluppo tecnologico dell’impresa, all’ottimizzazione dei tempi e dei mezzi di produzione, il capitalismo appare invincibile e insuperabile. Ma esso, che ama presentarsi come l’unico dei mondi possibili, in realtà rivela tutta la sua inadeguatezza di fronte alla necessità di proteggere la società.
Che il capitalismo sia come il biblico Gigante dai piedi d’argilla, con la testa d’oro, il corpo d’argento e altri metalli, ma con deboli piedi d’argilla su cui piantarsi, lo dimostra la sua incapacità di reggere le sfide imposte dalla stessa globalizzazione su cui vorrebbe reggersi. Una velocissima mobilità di merci e persone da cui sa trarre grande profitto, ma da cui è incapace di difendersi nel momento in cui arrivano grandi problemi. E, come il Gigante, è soggetto a crollare per il semplice colpo di un sasso scagliato ai suoi piedi.
Ecco che dunque tutta la sua maschera di benessere e sviluppo, quando la società è in difficoltà a causa di un’epidemia, crolla mostrando tutta la sua intrinseca debolezza, si svela che tutta la sua imponenza nasconde solo un meccanismo spietato di protezione degli interessi del mercato, indifferente alle sorti dei lavoratori, incapace di tutelarne l’esistenza.
E che per sua natura sia contro la sorte dei lavoratori lo dimostra anche ciò che sta accadendo oggi nei cicli di produzione industriale di tutta Italia e di tutta Europa: cicli di produzione anche quando non, e ripetiamo NON, strategici per la battaglia contro il virus, non solo non sono stati sospesi per esigenze sanitarie, ma proseguono sebbene gli operai non abbiano assolutamente le protezioni adeguate. Una misura, lasciata in piedi dai decreti e che di fatto antepone il profitto alla salute del lavoratore, esposto a gravi rischi in cicli produttivi affollati da centinaia di persone contemporaneamente.
In sintesi, per non ostacolare gli interessi del grande capitale semplicemente lo Stato si mette in disparte, incrocia le dita e spera che tutto vada bene. E’ di oggi il decreto che prevede un bonus per i lavoratori che stanno continuando a lavorare anche durante la crisi: 100 ridicoli euro per non negare la forza lavoro al capitale anche in posti di lavoro scarsamente sicuri. Ma ovunque i lavoratori contestino il diritto del capitale ad abusare della loro vita, allora interviene lo Stato in persona e punisce ogni atto di ribellione. E’ il caso, uno tra i tanti che si stanno verificando ovunque in Europa, accaduto nei giorni scorsi a Carpi, in Italia, in cui un operaio è morto stritolato da un macchinario e i colleghi che hanno organizzato una protesta sono stati denunciati per “assembramento in violazione delle misure contro l’epidemia”. Evidentemente nella legge del capitalismo lavorare insieme non è pericoloso, protestare si.
Ma in piena emergenza anche nello stesso campo pubblico, per inciso, la condizione dei lavoratori viene pesantemente trascurata. In questo momento lo Stato – a scapito dei diritti costituzionali di sicurezza sul lavoro – sta assumendo in fretta e furia nuovi infermieri con contratti precari e che non garantiscono la copertura assicurativa del lavoratore. Un lavoro ad altissimo rischio senza copertura assicurativa adeguata, come antidoto all’inadeguatezza dello Stato davanti all’emergenza.
Ma al di là delle contraddizioni esplose nel mondo produttivo e nei cicli di produzione, che restano comunque il punto nevralgico del capitalismo, stiamo assistendo anche a dinamiche incredibili che mettono a nudo l’inconsistenza delle presunte certezze della nostra società e che al primo colpo sono saltate per aria.
E in quest’emergenza, la prima di queste dimensioni dal dopoguerra, proprio il sistema sanitario è ciò che per primo viene messo in crisi, dimostrando che milioni di cittadini pagano pesanti tassazioni per avere in cambio un sistema sanitario che è calibrato per tentare di reggere, e a mala pena, la situazione ordinaria. La verniciatura di sistema ben organizzato è saltata davanti ad una richiesta di cure che superasse l’ordinario. Un sistema che, nel suo complesso e non solo a macchia di leopardo, è collassato di fronte ad un’emergenza inattesa o, sarebbe più opportuno dire, profondamente sottovalutata. Perché una delle caratteristiche del capitalismo è quello di tagliare sulle spese sociali, e specialmente sulla prevenzione, che crea spese che per lungo tempo possono apparire inutili. Ma in realtà sono spese minimali che proteggono la società da gravi catastrofi che causano spese ben maggiori.
In questa occasione il problema si è presentato quando, senza che sia stata approntata alcuna seria misura di prevenzione, a seguito dell’allarme per la veloce espansione del virus e per l’annuncio di imminenti provvedimenti restrittivi, migliaia di persone dal nord Italia hanno deciso di trasferirsi in treni, macchine e aerei, senza rispettare i divieti, in altre zone in cui c’erano ancora bassi livelli di contagi, come le zone di montagna e zone di villeggiatura di tutto il territorio dello Stato italiano.
In Sardegna gli effetti di questo comportamento irresponsabile hanno giustamente indignato tutti, ed è stato chiesto da tutte le parti politiche, nonché dalla stessa Regione Sardegna, che venissero fermati immediatamente i flussi con l’immediata chiusura dei porti e degli aeroporti a scopo precauzionale per arginare la diffusione del contagio, decisione peraltro accordata solo dopo una lunga settimana di dinieghi da parte dello Stato italiano.
Di fronte a questa scomposta e improvvisa migrazione in Sardegna ci sono state reazioni accese e prese di posizione anche qualunquiste e demagogiche, supportate anche da alcune sigle politiche e da alcuni consiglieri regionali di sinistra, e che purtroppo hanno trovato spazio anche nei maggiori quotidiani italiani. La proposta era quella di rispedire a casa i residenti nel nord Italia, e solo quelli con quella residenza, un’ipotesi assurda sia in termini di contenuti che in termini di praticabilità (immaginate caricare forzatamente su navi e aerei, migliaia di persone stipate tutte a contatto in piena epidemia). Un’occasione di tensione assolutamente inopportuna in questo momento, oltre che una insensata generalizzazione di una massa di persone tutte accomunate dalla stessa residenza e tra cui ci sono sardi residenti fuori, lombardi, veneti, ricchi, operai, camerieri, studenti, ma tutti indistintamente percepiti e fatti percepire come “ricchi egoisti invasori”, e non per ciò che realmente sono stati, ovvero degli sconsiderati presi dal panico, che hanno fatto correre un serio rischio a tutta la Sardegna.
Crediamo che sia opportuno invece ragionare con grande lucidità e fermezza e che si debba specificare che alla base di questa situazione in Italia ci sia stato un problema di mancata organizzazione preventiva (con i viaggi da e per la Cina e per tutto il mondo lasciati aperti e poco controllati per due mesi), poi di cattiva gestione della comunicazione (col panico creato dalla diffusione della notizia di imminente chiusura della “zona infetta”), infine di cattiva gestione dei trasporti (con pochi e inadeguati controlli e con il divieto imposto da Roma di chiudere porti e aeroporti della Sardegna). In ultimo, solo in ultimo e come effetto di questi fattori precedenti, il problema dell’arrivo sconsiderato.
Noi diamo la responsabilità alla causa, più che all’effetto, ed è la causa che si deve colpire se si vuole arrestare l’effetto, non il contrario.
Non serve mai, e tantomeno davanti a emergenze epocali o fughe di masse di persone, attizzare la paura e mettere le persone le une contro le altre.
I nemici dei lavoratori e del popolo sardo non sono altri lavoratori o altri popoli: i nemici dei lavoratori e dei popoli sono i capitalisti, che opprimono lavoratori e popoli di tutto il mondo.
Per questo motivo condanniamo l’iniquità di questo sistema sociale che riempie le tasche a capitalisti e speculatori, a cliniche private e lobby della farmaceutica, ma si rivela incapace e inadeguato quando arriva il compito di salvare la vita a poche migliaia di cittadini, scaricando tutti gli oneri alla sanità pubblica, peraltro sempre colpita da tagli.
Basterebbe la sola notizia recente della proposta di Trump di acquistare in regime di monopolio il vaccino da una azienda tedesca per fare capire la natura del capitalismo: speculare sulla vita delle persone e stabilire in base al denaro chi vive e chi muore.
Ma questa epidemia ha fatto anche scoprire a tutta la società sarda, e nel peggiore dei modi, che in Sardegna abbiamo solo 130 posti di terapia intensiva e che davanti a un’emergenza non bastano.
Non parliamo nemmeno della manifesta inadeguatezza del governo italiano, della Giunta Solinas e della Protezione Civile sarda, travolti da un’emergenza che sarebbe potuta essere inaspettata se non fosse che dalla Cina per ben due mesi si lanciava il segnale di pericolo, assolutamente ignorato e sottovalutato.
Parliamo invece di un problema strutturale dell’organizzazione delle risorse in Sardegna.
Noi crediamo che non sia possibile che, in una terra in cui metà del bilancio viene speso per la sanità, ci possano essere così pochi posti di terapia intensiva, con un sistema che non è capace di fare fronte alle emergenze, che non riesce a fare adeguati controlli sanitari in entrata (ricordiamo che in piena emergenza a Porto Torres ancora non c’era neanche il termo scanner), che non ha strutture e reparti adeguati, che per intere settimane non è stato capace di distribuire nemmeno un paio di guanti e una mascherina a tutto il personale costretto a occuparsi di persone contagiate o potenzialmente contagiose!
I Sardi pagano le tasse per avere un’efficiente sanità pubblica, ma con quelle tasse, mentre si smantella progressivamente la sanità pubblica, si finanzia anche la sanità privata. Oggi tutta l’emergenza viene retta dalla sanità pubblica, mentre quella privata verrà coinvolta per mettere a disposizione i suoi posti letto solo quando non ci sarà proprio più posto in quella pubblica. Perché i privati sono in prima fila quando c’è da prendere, ma quando c’è da dare si mettono in fondo come riservisti?
Le tasse dei Sardi vengono spese anche per la compartecipazione all’acquisto degli armamenti e delle spese militari. Nella nostra terra di Sardegna nelle esercitazioni militari vengono sparati missili che costano un milione di euro l’uno: perché si trovano i soldi per sparare sulla Sardegna missili che uccidono le persone, ma mancano i soldi per dare alla Sardegna i posti letto che salvano le persone?
Lo Stato italiano spende 80 milioni di euro al giorno (si, al giorno) per l’apparato militare, perché il suo sistema sanitario è inadeguato e getta le persone nel panico con fughe incontrollate alla ricerca della salvezza?
Lo Stato italiano spende i soldi per comprare i caccia da guerra F35. Con l’equivalente del costo di un F35 si possono comprare oltre 7mila respiratori polmonari. Perché lo Stato non ha respiratori a sufficienza e lascia morire i suoi cittadini?
Noi crediamo che siano queste le domande corrette che i cittadini si devono fare. Non è il momento di scatenare assurde cacce alle streghe e tantomeno di farsi distrarre da situazioni che nascondono la vera natura del capitalismo.
Gli Stati capitalisti antepongono gli interessi del grande capitale, delle banche, delle lobby militari e farmaceutiche al diritto dei cittadini ad avere cure adeguate e gratuite.
Gli Stati capitalisti risucchiano miliardi di euro alla società per dirottarli nelle insaziabili tasche di un pugno di persone, costringendo migliaia di persone a morire per insufficienza di cure.
Abbiamo il dovere di lottare per costruire una società migliore, che anteponga i diritti dei lavoratori e dei cittadini a qualsiasi altra esigenza.
Abbiamo la volontà di costruire una nuova società che metta al di sopra di ogni cosa i diritti elementari dell’uomo alla salute, alla vita, al lavoro, alla felicità.
Quando questa emergenza sarà cessata dovrà essere chiaro a tutti che non si potrà più tornare indietro e che nulla sarà più come prima. Per cui dovremo fare tesoro di ciò che ci ha insegnato, mettendo a nudo tutta la nostra situazione di dipendenza e tutta l’inconsistenza dei nostri diritti di autogoverno quando si tratta di prendere decisioni davvero importanti.
Non possiamo più permetterci, noi Sardi, di affrontare le avversità affidandoci a ciò che viene deciso da altri, in altre sedi e con altri scopi.
Non possiamo più permetterci di rischiare di morire di fame se si dovessero bloccare i rifornimenti della Grande Distribuzione Organizzata, perché oggi i Sardi sono stati messi nelle condizioni di non produrre più neanche il necessario per il loro fabbisogno e di dipendere totalmente dall’esterno!
Non possiamo mai più permetterci, né in regime ordinario né in regime straordinario, di dover supplicare da Roma le disposizioni sui nostri porti e aeroporti perchè i Sardi, in casa loro, non sono padroni di nulla!
Abbiamo il dovere di costruire una Repubblica Sarda in cui i cittadini sardi possano vivere finalmente sovrani e padroni assoluti del loro destino, possano entrare tra le nazioni a testa alta come un popolo di liberi, rispettati, uguali.
Liberu – Lìberos Rispetados Uguales