Ogni passo compiuto verso la liberazione delle terre sarde occupate dalle servitù militari e sottoposte a invasive esercitazioni militari va salutato con soddisfazione.
Detto questo, l’accordo di programma presentato ieri in Consiglio regionale dal presidente Pigliaru è tutt’altro che storico. E, quand’anche si concretizzasse, è anni luce lontano da quel che serve.
Lo è nella forma, visto che prevede un impegno a confrontarsi con lo Stato (attraverso un cronoprogramma tutt’altro che affidabile) proprio nei giorni che precedono il termine della legislatura e la fine dell’esperienza di un governo che si è più di una volta mostrato inaffidabile nei confronti della Sardegna.
Siamo sin troppo facili profeti nel prevedere che l’Italia – sfruttando la congiuntura legata alle prevedibili difficoltà per la formazione del nuovo esecutivo, a seguito delle elezioni di marzo – troverà più di una scusa per non dare seguito all’accordo.
Se anche lo facesse, ripetiamo, le intese raggiunte sono tutt’altro che soddisfacenti. Anzi, rischiano di porre ancora una volta nuove spese e nuovi gravami sulle spalle dei sardi.
Non sarà la restituzione-spot di un paio di spiagge, tra l’altro “condizionata” ancora a troppe variabili, a dare il segnale che il trend si è invertito, anche in considerazione del fatto che niente viene detto a proposito delle bonifiche. Né chi le farà, né con quali soldi, né con quale finalità.
Va da sé che, pur consci del fatto che occorra una gradualità nel piano di progressiva ma ineluttabile dismissione, ci dichiariamo totalmente insoddisfatti dei risultati ottenuti dalla Giunta regionale nell’accordo con governo ed Esercito.
Il fatto che in Consiglio regionale – ad esclusione del nostro consigliere Usula, di quelli del PsdAz e del PDS – ci sia stata una sostanziale unanimità, con la convergenza tra i due poli italiani, è lì a dimostrare che si tratta di un patto insoddisfacente.
Il presidente Pigliaru è ancora in tempo a non firmarlo.
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