Il Ceta, l’accordo economico e commerciale globale tra il Canada e l’Unione Europea “l’oscuro trattato commerciale adottato con pochissima discussione pubblica, che può avere un potere di primaria importanza per il futuro dell’umanità” secondo Naomi Klein, viene presentato dalla politica e dai media italiani come la nuova panacea per l’umanità.
Dimenticando i risultati di oltre 30 anni di globalizzazione neoliberista, i cui gli accordi sovranazionali hanno garantito profitti spaventosi esclusivamente per le multinazionali e impoverito le comunità locali, oltre ad avere aumentato vertiginosamente l’inquinamento e la devastazione ambientale, quella sì, rimasta a carico degli Stati.
Certo che da Seattle e Genova sembra passato un secolo eppure quello che si temeva allora in questi anni lo abbiamo visto materializzarsi attraverso il potere economico esercitato da mostri come Monsanto/Bayer solo per citarne uno, capace di far sprofondare l’ecosistema mondiale pur di arricchirsi a dismisura.
La domanda da porsi è se possiamo permetterci di far continuare indisturbati questi progetti di distruzione. Pensiamo che siamo ancora in tempo per fermarli, visto che questo accordo rafforza ancora il capitalismo ordoliberista.
Ci sono diversi punti critici nell’accordo Ceta, come ad esempio quelli che riguardano gli OGM, messi in evidenza da associazioni come Greenpeace e l’Institute for Agriculture and Trade Policy – che hanno pubblicato tre rapporti sulle conseguenze dell’accordo – ricordando che “il Canada ha standard di sicurezza sul cibo più deboli e un settore agricolo molto più dipendente da sostanze chimiche e OGM rispetto all’Unione europea”. E’ importante sapere che il Canada è il terzo produttore di OGM al mondo, con un peso notevole delle lobby del settore.
Ma c’è di più. Il trattato, in tema di risoluzione delle controversie (tecnicamente Isds) tra investitori e Stato, consente alle lobby di ricorrere a un arbitrato internazionale qualora vedano i propri investimenti messi a rischio da provvedimenti varati dai governi dei vari Paesi.
Per questo motivo si è costituito un tribunale permanente, con giudici scelti da Canada e Unione Europea, partendo dal presupposto che i tribunali statali non tutelerebbero adeguatamente gli interessi di un’impresa straniera. Una sorta di “tribunale fai da te” costituto per le lobby dell’OGM.
In questo modo i singoli Stati si trovano condizionati nell’adottare leggi di interesse pubblico, come quelle in materia di ambiente e salute dei cittadini, perché potrebbero contrastare con gli interessi delle aziende. E’ vero che gli arbitrati internazionali sono già previsti da tutti i trattati commerciali, ma è anche vero – come ben sanno i Paesi in via di sviluppo – che difficilmente gli interessi dei cittadini vengono anteposti agli interessi delle potentissime lobby private.
Dato questo scenario, davvero pensiamo che l’agricoltura della Sardegna possa avere un tornaconto positivo?
Il presidente del Consorzio di tutela del pecorino romano pensa di si. Secondo lui l’accordo è “molto vantaggioso”, in quanto l’abbattimento dei dazi doganali sull’esportazione del pecorino romano pare ne abbia già incrementato le vendite, e dunque l’ipotesi di non ratificare l’accordo sarebbe deleteria per il settore. Noi pensiamo che, per l’ennesima volta, si guardi il dito anziché la luna.
Il presidente del Consorzio del pecorino infatti, parla degli ipotetici vantaggi con lo scopo di impegnare ulteriormente la produzione lattiero casearia sulla monocoltura del pecorino romano, precludendo al settore altre strade e “non sapendo” che l’economia monoculturale rende i popoli schiavi. E dimenticando di dire che questo accordo, se ratificato, contribuirebbe a fare entrare in Italia e quindi in Sardegna carne canadese sia bovina che suina, grano pesantemente trattato chimicamente e molto altro, mettendo in ginocchio le nostre produzioni, invadendo il mercato di prodotti stranieri nocivi a discapito dei nostri prodotti genuini.
Ci sono infatti notevoli rischi per la salute dei cittadini: i prodotti dal Canada non sono soggetti alle stesse regole sanitarie dei prodotti di alcuni paesi europei, e la competizione economica potrebbe innescare un peggioramento delle regole sanitarie in Europa.
Per la Sardegna il Ceta sarebbe un disastro economico, altro che vantaggioso, ma la classe dirigente sarda non ha valutato seriamente gli effetti globali futuri dell’accordo sulla nostra economia. All’attuale classe politica sarda manca al solito la capacità di progettare un disegno complessivo, capace di creare duraturo sviluppo per l’agricoltura e il settore lattiero caseario, e per questo rimaniamo sudditi e in balia di scelte fatte in altre parti del mondo e per gli interessi di altri.
Liberu – Lìberos Rispetados Uguales