Come ogni anno durante la stagione estiva migliaia di sardi, giovani e meno giovani, riprendono la loro vita lavorativa, perennemente costretti a vivere di lavoro “stagionale”.
E come ogni anno non mutano, se non in peggio, le condizioni contrattuali per chi è costretto a lavorare nelle maggioranza delle strutture ricettive dell’isola: già dai primi contatti con i possibili datori di lavoro si capisce che, pur sottoscrivendo un contratto, difficilmente questo verrà rispettato.
Viene difficile, già prima di iniziare a lavorare, anche solo capire quante saranno le ore lavorate, visto che anche in fase di primo colloquio si tende sempre a rimanere sul vago. E ogni lavoratore sa che le 6,40 ore contrattuali tenderanno a salire dalle normali 8 dei mesi di bassa, alle 10/12 in alta stagione.
La logica è sempre la stessa: per non assumere un numero maggiore di lavoratori si dilatano le ore lavorate da chi è già assunto, e spesso senza che queste vengano considerate, e dunque corrisposte, come straordinarie. Per non parlare del fatto che in busta paga vengono dichiarate delle cifre che poi in realtà non vengono corrisposte, o che spesso i lavoratori devono restituire ai padroni.
Una modalità di iper sfruttamento a cui difficilmente seguono dei controlli da parte di chi dovrebbe garantire il rispetto di quelle leggi, già troppo sbilanciate a favore dei proprietari delle strutture.
Spesso capita che siano gli stessi organi di controllo che avvisano delle possibili “visite”, cosa che permette ai padroni di istruire in tal senso i propri dipendenti che si trovano a dover mentire sulle proprie reali condizioni di lavoro, sottostando a dei veri e propri ricatti.
Chi porta avanti questo sfruttamento sa che esiste un esercito di disoccupati e questo viene usato come arma di ricatto nei confronti dei lavoratori. Se aggiungiamo che è praticamente impossibile riuscire a sindacalizzare la quasi totalità di chi svolge questo lavoro, in tempi in cui i sindacati si estinguono o sono solo una cinghia di trasmissione delle logiche padronali, non abbiamo paura a definire “ottocentesca” questa situazione.
A monte c’è la miopia di una classe politica incapace di lavorare ad un ampliamento della stagione turistica, cosa che toglierebbe la prima delle scuse agli sfruttatori del lavoro: “non è colpa nostra, visto che lavoriamo solo 4 o 5 mesi ma paghiamo le tasse per tutto l’anno”.
Che le tasse sul lavoro nello Stato italiano siano molto elevate lo dicono i numeri, ma l’ultimo anello della catena, su cui si ripercuotono le scelte aziendali, è sempre il lavoratore che non ha nessuna tutela.
Insomma, è la solita vecchia storia dell’innalzamento della logica del profitto a qualsiasi costo.
Crediamo che il problema sia profondamente politico, dunque, e non esclusivamente legato a logiche di mercato. Crediamo che il turismo potrà trasformarsi in una delle economie trainanti per la nostra terra solo nel momento in cui, chi deciderà che logica bisognerà portare avanti per la sua valorizzazione, sappia rompere quello schema che ci vuole isola morta per sette mesi all’anno, e paradiso da spolpare in maniera massiva negli altri cinque.
Abbiamo bisogno di una classe politica che sappia valorizzare le potenzialità di un’isola che potrebbe estendere l’economia turistica a tutto l’anno.
Fino ad oggi abbiamo avuto una classe politica che quando si occupa del settore lo fa solo per regalare volumetrie sulle coste ai soliti noti, supina nei confronti dei padroni del mare e del cielo che ci impongono tariffe esorbitanti.
Abbiamo bisogno di una politica che metta al centro del proprio agire i lavoratori sardi: questa è, e continuerà ad essere, una delle priorità assolute della nostra attività politica.
Liberu – Lìberos Rispetados Uguales