Se il grado di emancipazione della donna misura il progresso generale della società vuol dire che siamo ben lontani da poterci definire un Paese civile.
Credevamo di esserci lasciati alle spalle il medioevo, ma nel 2016 le donne vengono ancora bruciate vive dai propri compagni o mariti o massacrate per aver deciso di chiudere una relazione.
L’incapacità di tanti uomini di riuscire ad accettare una rottura diventa ossessione possessiva, perché quella rottura non rappresenta semplicemente la fine di una relazione ma la fine di un rapporto di proprietà, di subordinazione e di dipendenza.
A scatenare la violenza spesso è la ricerca dell’indipendenza economica e sociale da parte della donna che spaventa molto gli uomini/padrone e la ribellione o non obbedienza si traduce in una violenza domestica quotidiana, sia fisica che psicologica che annienta personalità e autostima della donna, e quello che dovrebbe essere il compagno diventa il suo carceriere. Per una donna la libertà di scegliere può costare la vita.
La regressione politica e culturale, accentuatasi particolarmente in questi ultimi 20 anni, ha insabbiato il processo di emancipazione riportando indietro le lancette del tempo, mostrando la donna non per le sue autonome qualità (politiche, lavorative, amministrative, culturali ecc.) ma per la capacità di essere funzionale alla volontà dell’uomo. I mass media hanno fatto un uso massiccio della figura della donna presentata in base alla caratterizzazione di attrazione sessuale o relegata alla sfera domestica. Nella nostra società la donna non si è liberata ancora del fardello di “brava massaia” e continua a gravare su di essa il peso della famiglia che spesso la porta a rinunciare a realizzarsi professionalmente e politicamente, a rinunciare ai propri interessi, ad accettare di lavorare per salari generalmente inferiori del 30% rispetto al salario medio di un uomo.
Se vogliamo cambiare questa società maschilista che genera disparità e violenza, se vogliamo abolire il rapporto di subordinazione della donna rispetto all’uomo in ambito sia economico che politico e sociale, se vogliamo costruire una nuova nazione e edificare una Repubblica di Sardigna giusta e libera, dobbiamo far sì che tutte le forze progressiste del nostro Paese lavorino alla realizzazione di questo cambiamento.
Un cambiamento sostenuto dalla scuola, dalle istituzioni e dai mezzi di informazione, ma che deve partire e svilupparsi con una grande rivoluzione culturale della nostra società.
Libe.r.u.