Anche quest’anno la Giornata dell’8 marzo deve fare i conti su una lunga serie di problemi che la donna deve affrontare nella nostra società. A dispetto della retorica patinata che presenta le donne come conquistatrici di ruoli importanti, spacciando un ristretto numero di fiduciarie del capitale per intero genere femminile, la realtà è che la donna ancora oggi vive un ruolo pesantemente subalterno.
La donna subisce sul posto di lavoro una pressione maggiore di quella dell’uomo, ha meno opportunità di lavoro, viene generalmente pagata meno, subisce maggiori pressioni psicologiche ed è frequentemente oggetto di allusioni e molestie a carattere sessuale.
La donna è ancora tagliata fuori dalla politica, con meccanismi che tendono a scoraggiarne la partecipazione e che ne sminuiscono il ruolo e ne mettono in dubbio le capacità. Emblematico il caso della Sardegna, in cui le donne candidate devono affrontare un sistema elettorale antidemocratico che le esclude sistematicamente dall’accesso al Consiglio regionale, come confermano i numeri delle ultime due tornate elettorali, e che è realmente contrastato solo dalla proposta in corso di Proporzionale Sarda.
La donna è oggetto di una società ancora profondamente maschilista e machista, in cui mentre da una parte si cerca di sradicare il razzismo, continua invece ad essere accettato e considerato “spiritoso” fare allusioni sessiste in merito alla presunta inferiorità della donna in quanto donna.
La donna è ancora oggetto di violenza sessuale e di omicidio mosso da violenza possessiva – il femminicidio – , fattori che avvengono ovunque ma in special modo tra le mura domestiche. Il fatto che queste violenze abbiano luogo per oltre l’80% in casa e ad opera di partner, ex partner o familiari, ha una spiegazione importante ed evidente: nella violenza sulla donna si esercita il “diritto di punizione” inflitto da chi si sente proprietario defraudato. La donna subisce cioè la ritorsione violenta di una persona che la punisce per essersi sottratta in qualche modo alla sua condizione di proprietà o alla pretesa di una sua condotta da serva mansueta e obbediente.
Questa realtà è sotto gli occhi di tutti, ma la gran parte della società tende a negarla, o a non percepirla in questa sua reale portata abominevole e disumana. Ciò è dovuto certamente a retaggi dis-educativi ricevuti (talvolta per convinzioni retrograde o convenienza, ma spesso anche per assenza o scarsità di senso critico), certamente anche per la latitanza educativa e formativa delle istituzioni, che lasciano all’associazionismo e all’azione politica militante il super lavoro di tentare di sensibilizzare un’intera società.
I recenti dati Istat sul femminicidio nello Stato italiano, relativi al 2016/2018 e incompleti degli ultimi lugubri accadimenti, ci dicono che in Italia i reati di questo tipo sono in lieve diminuzione, mentre in Sardegna hanno avuto una forte impennata, portandola a diventare seconda regione per numero di femminicidi.
Ma ad abbattersi sulla donna, trattata come oggetto, non c’è solo il femminicidio: ci sono anche le violenze fisiche saltuarie o quotidiane, c’è la violenza sessuale saltuaria o quotidiana, la violenza verbale saltuaria o quotidiana, e soprattutto la violenza psicologica – la più forte e persecutoria di tutte – che per suo carattere è quotidiana e totale.
La donna nella nostra società vive palpabilmente la sensazione di essere frequentemente considerata inferiore, inadatta, facile al comportamento disdicevole o sciocco o poco serio, secondo un metro di giudizio riferito non alla persona ma proprio in quanto membro di un genere che ha quelle presunte caratteristiche.
A tenere in vita questa situazione complessiva, fatta di violenza e di discriminazione palese o più spesso strisciante, è un’intera società maschilista. Maschilista in quanto orientata a dare un ruolo di preminenza e di egemonia all’uomo non in quanto individuo ma in quanto membro del genere maschile. Il motore di questo tipo di società discriminatoria non sono gli uomini, ma sono gli uomini maschilisti e le donne maschiliste, cioè quelle persone di entrambi i sessi che sono convinte (e con questa convinzione educano i figli, replicando il problema) che gli uomini siano, in quanto tali, destinatari di maggiori diritti e privilegi.
Così come per l’edificazione di una nuova società non razzista è necessario educare le nuove generazioni e allo stesso tempo contrastare radicalmente l’azione dei razzisti, allo stesso modo per l’edificazione di una nuova società non maschilista è necessario educare le nuove generazioni (maschili e femminili) e allo stesso tempo contrastare radicalmente l’azione degli uomini e delle donne che sostengono il maschilismo.
Azioni quotidiane e necessarie per chi, come Liberu, si pone l’obiettivo della costruzione di una società migliore fatta di persone libere, rispettate, uguali.
Liberu – Lìberos Rispetados Uguales